Justified text.

I templi e la giungla

Come i padroni della verità si sono imboscati fra le frasche

By Romeo Gand

Qualche giorno fa, mentre veleggiavo allegramente per il web, una breve pubblicità progresso contro “i rischi delle manipolazioni online” ha fatto capolino sullo schermo del mio computer. Così, inaspettata: fra uno spot di merendine e la réclame dell’ultimo smartwatch.

Incuriosito, decido di approfondire. E scopro – com’era prevedibile – che non si tratta di un fenomeno isolato: una schiera di simili contenuti ha già preso d’assalto la rete italiana, pronta a sbaragliare una volta e per tutte questa maledetta piaga della disinformazione. Ma quali soggetti si celano dietro queste filantropiche iniziative? Di quali mezzi dispongono, e quali scopi si prefiggono?

Precisazione importante:

In questo articolo si riportano fatti inoppugnabili, con tanto di nomi, cognomi e numeri di scarpe. I riferimenti a personaggi storici e/o categorie interpretative impiegati per spiegare questi fatti non equivalgono ad affermare: a) che si adotti implicitamente una prospettiva marxista in senso classico; b) che i termini liberalismo, capitalismo e padronato vengano utilizzati come se fossero delle ipostasi ferme al 1848; c) che i monopolisti dell’informazione siano interamente riducibili a nozioni come “l’America” o “l’Atlantismo”; d) che si avanzi verso il baratro soltanto a causa degli interessi privati di un’oligarchia, e non anche in ragione di processi storici più profondi e trasversali. Chi detiene il potere cambia spesso la sua maschera ideologica, ma mai le sue mire egemoniche: cercate di fare girare un poco i neuroni, e smettetela di ravvisare gli avversari alternativamente nella “sinistra” o nella “destra”, solo perché in un testo vi siete imbattuti in una citazione di Marx o di Smith. Perché altrimenti date ragione a chi vi chiama cospirati. Grazie.

 

Indice

Verso la censura totale del dissenso

Propaganda  
Partiamo da una considerazione ormai banale: la propaganda digitale, che la neolingua liberista affabilmente appella “alfabetizzazione”, marcia ambiziosa sulla strada della sicurezza collettiva, verso campagne di censura sempre più radicali e…penetranti.

Per qualificare i soggetti che portano avanti tali iniziative, sarebbe allora inutile condurre intricatissime inchieste. Piuttosto, basterebbe armarsi di uno specchio: essi sono in tutto e per tutto ciò che dicono di combattere. Mirano a contrastare la manipolazione, e non fanno che manipolare; mettono in guardia contro le fonti malevole, e non fanno che mentire spudoratamente; temono che l’Intelligenza Artificiale – che essi altrove magnificano come strumento neutro e imparziale – possa cadere nelle mani di pirati non meglio identificati, e non fanno che adoperare questi dispositivi nel proprio interesse privato. Insomma, per dirla con Marx: asserendo di custodire la verità, i filantropi del ventunesimo secolo si assicurano che neanche un cagnolino possa intrufolarsi impunemente nel recinto dei loro mezzi di produzione spirituale.

Ora, se queste osservazioni rasentano l’ovvietà per chiunque sia ancora dotato di un briciolo di spirito critico 1, più difficile è invece ripercorrere a ritroso, fino a lambirne le sfere più elevate ed eteree, la catena plotiniana di emanazioni politiche che sono all’origine dei piani di volta in volta messi in atto per realizzare l’agenda. È questo un compito ingrato e tedioso, per la prevedibilità quasi matematica dei suoi risultati, ma pur necessario per poter dare una forma definita alla cupola che oggi mira a reggere il mondo della “cultura” e dell’informazione a livello globale.

I Manzi del digitale

Manzi  
Immergiamoci dunque nell’oceano della nuova pedagogia digitale.

Partendo dalle basse sfere della catena di montaggio, troviamo la Italian Digital Media Observatory (IDMO), un osservatorio che di italiano, come si può evincere dal nome, non ha nulla o quasi: mera succursale, l’IDMO implementa i dettami dell’European Digital Media Observatory (EDMO), un progetto a sua volta finanziato tramite il Connecting Europe Facility, fondo della Commissione Europea creato nel 2014 allo scopo di stabilire un “trans-European network in the fields of transport, energy and digital services”. L’IDMO venne istituito in piena campagna vaccinale anti-Covid, nell’ambito del bando europeo CEF-TC-2020-2 EDMO, e presentato in pompa magna dal proscrizionista de la Repubblica Gianni Riotta presso i locali della Luiss, alla presenza di vires illustres del panorama nazionale quali Paolo Gentiloni, Commissario Europeo agli Affari Economici e monetari, Carlo Fuortes, ex amministratore delegato della Rai, e Luigi di Maio, arabista di fama internazionale.

Secondo quanto riportato nel sito dell’Osservatorio, esso (vale la pena leggere la pappardella per capire la quantità e la diversità dei soggetti ormai coinvolti in operazioni di propaganda culturale nel nostro Paese) sarebbe:

una comunità multidisciplinare che riunisce ricercatori, fact-checkers ed esperti di social media e narrative digitali. I partner del progetto, TIM, Rai, Gedi, l’Università di Roma Tor Vergata, NewsGuard, Pagella Politica, T6 Ecosystem, uniranno forze ed expertise per combattere la disinformazione. Il ruolo di coordinamento dell’intero hub è affidato al Data Lab Luiss, centro di ricerca dell’università Luiss Guido Carli.

Un’indagine più dettagliata delle scatole cinesi che compongono questo mirabolante hub lascia emergere una fitta ragnatela di finanziamenti e rapporti politici fra le sponde dell’Oceano Atlantico e quelle del bel Paese. Partiamo dai fatti (forse) più noti al lettore italiano:

Il Gruppo TIM sarà svenduto entro l’estate al fondo di investimenti internazionale (con sede a New York) Kohlberg Kravis Roberts & Co. (KKR): quel finto organo di controllo che è la Commissione europea per la concorrenza ha infatti dato il suo avallo all’operazione, in quanto essa “non solleva preoccupazioni sotto il profilo della concorrenza nello Spazio economico europeo”. Sarà questo un avvenimento tanto vergognoso quanto epocale: per la prima volta infatti un grande Paese Europeo cederà il monopolio della propria rete fissa ad un ente privato. Fuori il primo, avanti il prossimo.

Nemmeno il Gruppo editoriale GEDI, che possiede fra gli altri La Stampa, la Repubblica del Cavaliere d’Ucraina Maurizio Molinari e il Secolo XIX 2 penso abbia bisogno di grandi presentazioni: colosso dell’editoria italiana, GEDI fa capo alla holding finanziaria Exor, di proprietà della famiglia Agnelli, le cui quotazioni sono state trasferite da qualche anno a questa parte da Piazza Affari alla Borsa di Amsterdam. Già dal 2017 il gruppo editoriale di Repubblica riceve sussidi da parte di Google3, attraverso meccanismi di finanziamento che approfondiremo più avanti.

La T6 Ecosystem è invece una società di consulenza e ricerca coinvolta a livello nazionale, europeo e internazionale in progetti di innovazione e trasformazione digitale dei media, della cultura e della creatività, già partner dell’Osservatorio europeo nell’ambito del progetto Horizon Europe Social Observatory for Disinformation and Social Media Analysis (per gli amici SOMA, animali da). Il CEO della T6 è Andrea Nicolai, assiduo collaboratore di vari progetti della Commissione Europea.

Quis custodiet ipsos custodes?

Controllori  
Un paragrafo a parte merita senza dubbio Pagella Politica, testata giornalistica nata nel 2012 allo scopo di inserire – parole testuali – “una dose di oggettività nella dialettica politica italiana”. Pagella Politica opera sotto il controllo di una (ex) omonima Srl, fondata nel 2013 da un decemvirato di paladini della verità, che dal 2020 ha assunto l’attuale denominazione di The Fact-Checking Factory Srl (d’ora in avanti TFCF), al fine di accorpare al progetto iniziale lo spin-off di debunking “generalista” Facta.

Attraverso quest’ultimo ben noto tentacolo, la TFCF si è recentemente premurata di inserire ulteriori dosi di oggettività nei corpi degli italiani, aderendo sotto lo slogan “Scegli a chi non credere” al CoronaVirusFacts Alliance, un progetto finanziato da Meta e Google durante il triennio 2020-2023 per contrastare le presunte derive dell’infodemia.

Questa Lega di templari dell’informazione sanitaria prese le mosse nell’ambito del più ampio International Fact-Checking Network (IFCN), progetto avviato nel 2015 dal Poynter Institute for Media Studies, una madrasa non-profit del nuovo giornalismo con sede a St. Petersburg, Oblast di…ehm no, Pinellas County, Florida, United States. L’elenco dei finanziatori della IFCN è poi qualcosa di impressionante, e comprende: il National Endowment for Democracy, la Arthur M. Blank Family Foundation, la Duke Reporters’ Lab, la Bill & Melinda Gates Foundation, l’Omidyar Network, la Open Society Foundations, la Park Foundation e, ça va sans dire, Google.4

Fra questi benefattori spicca per importanza la Bill & Melinda Gates Foundation, la quale, fra le decine di migliaia di donazioni filantropiche distribuite nell’ultimo trentennio in giro per il mondo annovera ripetutamente, oltre all’OMS 5, i nomi di tutti i colossi del settore farmaceutico, di cui i fact-checkers “indipendenti” si premuravano di difendere operato e reputazione. Giusto per citare le principali, ritroviamo: BioNtech, Novartis, Johnson & Johnson, Bayer, Merck, Sanofi, Moderna e ovviamente Pfizer.

Le ombre lunghe dei fact-checkers

Ombre  
Ma torniamo di nuovo alla TFCF: oltre che da Meta, essa ha ricevuto negli anni finanziamenti6 dalla Rai, dall’Agenzia di Stampa AGI e soprattutto dai soliti progetti della Commissione europea: IDMO, EDMO e SOMA. Nonostante questo, la redazione di Pagella Politica proclama, sin dal suo nome, la sua terzietà glaciale rispetto a quegli epifenomeni del potere effettivo che sono i partiti politici.

Ma se i dati già forniti non fossero bastati a chiarire quanto profondi siano i conflitti di interesse che la affliggono, basta scrostare un altro poco l’immagine di combriccola di cittadini super partes, per constatare come la totalità dei membri fondatori della TFCF sia composta da ragazzi della meglio gioventù europea, con un piede e mezzo o due negli States. Fitte relazioni (finanziarie) legano infatti questi soggetti con una pletora di agenzie intergovernative, enti privati, imprese, associazioni e istituzioni formative, in un nauseabondo carosello di nomi sempre uguali7:

Pietro Curatolo è fin dal settembre 2020 Speechwriter per il già citato Commissario Europeo agli Affari Economici Paolo Gentiloni. Silvia Sommariva, bocconiana ed ex dottoranda presso la University of South Florida, ha ricoperto vari incarichi per l’OMS ed è attualmente consulente per i social media presso l’Unicef, mentre Flavia Mi, formatasi alla Luiss e alla University of Warwick (UK), è Programme Specialist per l’Unicef. Giorgio Gagnor è manager di Ferrero, ma vanta trascorsi di tutto rispetto nel mondo delle banche e della consulenza finanziaria fra la Senna e il Tamigi. Carlo Starace, bocconiano di formazione, ha lavorato come interno presso l’ONU, poi per il gigante tedesco della consulenza strategica Roland Berger, oltreché per organizzazioni intergovernative “autonome” 8 come la International Renewable Energy Agency (IRENA), con sede ad Abu Dhabi, e la International Energy Agency (IEA), con sede a Parigi.

Non mancano poi i legami governativi interni: Daniele De Bernardin, formatosi presso la American International School di Tel Aviv e poi presso la Luiss, è analista politico e data journalist per Openpolis9 e (sin da luglio 2020) consulente del Dipartimento per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei ministri. Giovanni Zagni – il direttore di Pagella Politica e Facta – ha invece fatto parte della Task force anti fake news istituita durante il secondo Governo Conte dall’ex sottosegretario di Stato con delega all’Editoria Andrea Martella.10

Fra il gruppo dei magnifici dieci troviamo poi anche alcuni diplomatici mancati, come Andrea Saviolo, formatosi all’Università di Bologna e alla University of Pennsylvania, il quale ha ricoperto incarichi presso l’ambasciata italiana di Sarajevo, oltreché per la Direzione generale della Politica di vicinato e dei negoziati di allargamento (NEAR) della Commissione Europea, e che soprattutto ha lavorato e tuttora lavora per l’Allied Command Transformation (ACT) della NATO; o ancora Amerigo Lombardi, che ha ricoperto svariati incarichi presso la Commissione europea, l’ambasciata italiana di Zagabria, l’agenzia ONU International Labour Organisation (ILO), e alcuni think thank privati fra cui spicca la Bertelsmann Foundation, ente non-profit tedesco con le solite sedi decentrate a Washington e Bruxelles.11

Infine abbiamo Alexios Mantzarlis, bocconiano che dopo qualche esperienza all’Onu, è approdato (2015) all’International Fact-Checking Network, nientepocodimeno che in qualità di Direttore…  
 
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…  
 
…ma tu guarda com’è piccolo il mondo! Proprio quell’International Fact-Checking Network del The Poynter institute, l’ente che si occupa di organizzare il CoronaVirusFacts Alliance, la lega cui aderisce la The Fact-Checking Factory Srl, la società che coordina i progetti di debunking di Facta e di Pagella Politica, le riviste che mio padre al mercato comprò!! 12

Ma queste sono solo speculazioni, perfide calunnie…diffamazioni a mezzo stampa! Le esperienze professionali menzionate si sono svolte prima, dopo, sopra, sotto e tutto intorno al lavoro di fact-cheking dei nostri assistiti. Questi ultimi, per tutta la durata della loro partecipazione al progetto TFCF, erano incapsulati in una bolla di imparzialità certificata ™, del tutto esenti da qualsivoglia conflitto di interessi: essi erano usciti al parco, avevano cancellato i numeri dei vecchi contatti dalle loro rubriche telefoniche, stavano facendo la spesa al mercato, stavano giocando a calcetto con amici e parenti!

Tranquilli, debunkers, risparmiatevi i sofismi: lo sappiamo che le piattaforme di fact-checking possono contare su un alto tasso di ricambio redazionale, su forze sempre fresche di giovani laureati, pieni di ideali su come cambiare il mondo a forza di somministrazioni di olio di oggettività estratto a freddo.

Di fatti precisiamo per i lettori: tutti i personaggi di cui sopra sono adesso scappati verso lidi più appartati, al riparo dalla luce diretta del sole. Pietro Curatolo, Daniele De Bernardin, Alexios Mantzarlis e Silvia Sommariva hanno pubblicamente dichiarato di non intrattenere più alcun legame con la TFCF Srl13, mentre nessuno dei personaggi sopramenzionati ricopre più alcun ruolo formale nello staff di Facta e/o Pagella politica. 14

Meno Giovanni Zagni, che continua ad essere il direttore di entrambi i progetti.

Hacia la cumbre

Diagramma  
Proseguendo la nostra amena passeggiata verso le vette della cupola, ci imbattiamo nella NewsGuard, un’agenzia di rating di siti e testate giornalistiche che ha sede indovinate dove? A New York. Anche NewsGuard si occupa di pedinare in lungo e in largo la disinformazione (e sua cugina più sfigata la misinformazione), oltre a verificare per noi indifesi cittadini il Brand Safety di ogni edicola nel raggio di venti km da casa nostra, e a proporre una immediata demonetizzazione di tutti gli enti che non rispecchino i loro valori morali. NewsGuard, che si fregia di combattere i cattivi senza ricorrere agli algoritmi, ma con veri sceriffi in carne e ossa, vanta nel suo organigramma personaggi del calibro di Anders Fogh Rasmussen, ex primo ministro danese ed ex segretario generale della NATO, e di Jimmy “Jimbo” Wales, fondatore della Wikimedia Foundation 15. Ma anche una lunga lista di nomi illustri:

from the federal government, including former homeland security secretary Tom Ridge, former undersecretary of state for public diplomacy Richard Stengel, and former Central Intelligence Agency director General Michael Hayden.16

Fra le figure di spicco del radicamento di NewsGuard nel nostro paese, v’è poi senza alcun dubbio Giampiero Gramagliaex direttore dell’ANSA ed attuale direttore dei corsi didattici della prestigiosa Scuola di propag…ehm giornalismo di Urbino – che a coronamento della sua decennale carriera fra gli uffici decentrati di Washington e Bruxelles venne nominato dall’agenzia di rating (2019) consulente senior per l’Italia.

Spendiamo infine qualche parola sulla Luiss Data Lab, il centro di ricerca dell’Università Luiss Guido Carli che, come abbiamo potuto constatare, tanto contribuisce a sfornare fact-checkers sempre freschi in tutto il bel Paese. Fondata nel 2018 sotto la direzione di Livia De Giovanni e del già minzionato Gianni Riotta, la Luiss Data Lab ha ricevuto per la lotta alla disinformazione, congiuntamente alla FIEG (Federazione italiana editori giornali) ben 2 milioni di euro da parte di Google nell’ambito della Google.org Impact Challenge: Tech for Social Good, una campagna avviata nel febbraio di quest’anno con il patrocinio dell’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale, un ente di diritto pubblico italiano fondato sotto il governo Draghi, coi fondi del PNRR, in attuazione della legge n. 109/2021. La Impact Challenge è definita come una “open call for European nonprofits, civic entities, and social enterprises focused on sustainability, economic opportunity, and cyber security” che prevede, oltre alla possibilità di instaurare una fellowship con il colosso americano e alla garanzia di una “assistenza tecnica” h24, giusto una piccola distribuzione di merendine e succhi di frutta, che per l’Italia ammonterà quest’anno a un totale di 4 milioni di euro. 17

E d’altro canto il buon Gianni18, palermitano d’adozione statunitense ormai quasi più leggendario dell’omonimo Prete, non è nuovo a finanziamenti di questo genere da parte di Google, dato che già nel 2016 aveva ricevuto delle sovvenzioni 19 nell’ambito della Digital News Initiative (DNI), un progetto creato da Google al fine di supportare in giro per il mondo “high-quality journalism through technology and innovation”.

Proprio quest’ultima ha conosciuto negli anni un successo strepitoso, tanto che oramai praticamente tutti i giornali del globo sgomitano per raccattare qualche briciola dalla sua tavola: avviata nel 2015 con uno fondo previsionale di 150 milioni destinato agli editori del decrepito continente, distribuito in vari “round” di questo combattimento finale per aggiudicarsi la cintura di campione mondiale delle verità, a fine 2018 l’iniziativa era già arrivata a finanziare 559 progetti – a fronte di altre centinaia di candidature bocciate – in 30 paesi europei (ma quanti Stati ci sono in Europa?) per un totale di 115 milioni di dollari. Nel 2020 era poi assurta a dimensioni globali, coinvolgendo più di 6.000 partner in 118 stati, sforando il fondo inizialmente previsto e toccando quota 189 milioni di dollari. Ad oggi la DNI distribuisce cioccolatini per un valore complessivo di 300 milioni di dollari, in 120 paesi, e ha ormai sorpassato i 7.000 (sì: sette-mila) partner del settore dell’informazione.20

Le agenzie interne di Google

Google non si limita poi ad agire indirettamente, tramite i meccanismi di finanziamento che abbiamo visto, ma utilizza anche alcune agenzie interne per promuovere direttamente le sue campagne di manipolazione. Lo stesso IDMO si autodefinisce alla fine di ogni suo spot come un semplice collaboratore del colosso digitale, dettagliando addirittura i nomi delle unità operative coinvolte nella campagna contro la disinformazione 21. Queste sono:

  1. Il “business incubator” Jigsaw, “a unit within Google that explores threats to open societies, and builds technology that inspires scalable solutions”, il cui obiettivo è quello appunto di contrare “la disinformazione, la censura (sic!), la tossicità e l’estremismo violento”.
  2. La Moonshot, una start-up internazionale con sedi a Londra e Washington D.C. 22. Anch’essa si definisce come una compagnia che si impegna a porre un termine (fra le altre) “alla disinformazione, ai discorsi d’odio, alle minacce online, alla violenza di genere, all’estremismo violento”…in breve alla libertà d’espressione. La Moonshot, che fa orgogliosamente parte della Online Safety Tech Industry Association, venne fondata nel 2015 da Vidhya Ramalingam e Ross Frenett. Due tizi qualunque, se non fosse che la prima è a) una giovane leader dell’Obama Foundation e b) un membro del pannello di esperti del think tank del Washington Institute; mentre il secondo è soltanto un umile consulente del pannello RAN (Radicalisation Awarness Network) della Direzione Generale Migration and Home Affairs.  
    Di quale organismo, dite? Ah sì: della Commissione Europea.

La verità blindata

La verità  
Ma se pensate che non si possa fare peggio di così, aspettate ancora un attimo.  
È infatti alle soglie della pagliacciata pandemica, che Google ha tirato fuori dal cilindro il coniglio per impadronirsi definitivamente dell’informazione globale: il Google News Showcase (GNS).

Il GNS è un nuovo prodotto concepito, nelle idee del CEO Sundar Pichai, al solito scopo di beneficare sia la brama degli editori che l’armento dei lettori. Il progetto promette infatti finanziamenti fino a 1 miliardo di dollari per i gruppi editoriali che accetteranno di popolare la nuova bacheca del motore di ricerca con “contenuti di qualità”: propaganda per allineare ogni popolo al pensiero unico certificato, e un circo quotidiano di bagatelle per stordirlo. Il Google News Showcase è sbarcato in Italia a Marzo 2021, accolto fra plebisciti come il “futuro del giornalismo”, siglando giusto un paio di intese (per cifre che restano rigidamente secretate: si suppone da qualche decina/centinaia di migliaia di dollari a qualche milione per progetto) con qualche giornaletto di provincia, come:

  1. Il Corriere della Sera
  2. Il Sole 24ore
  3. Fanpage
  4. Il Fatto Quotidiano ( ♫ ♫ il quotidiano che non riceve alcun finanziamento pubblico… ♫ ♫)
  5. Il Foglio
  6. Libero
  7. il Tempo
  8. il Resto del Carlino
  9. La Gazzetta dello Sport
  10. Quotidiano Nazionale
  11. Il Giornale
  12. Il Giorno
  13. Mi sono stufato: eccetera, eccetera, eccetera…

Sul Google Showcase però, aleggerebbe l’ombra di un mistero. Da un lato infatti, una siffatta collaborazione comporta vantaggi economici evidentissimi per gli editori e i giornalisti, i quali oltre a poter disporre di una nuova vetrina con cui attirare utenti sulle loro piattaforme, saranno periodicamente subissati di assegni circolari; dall’altro, Google non sarebbe in grado – a fronte dell’enorme investimento economico – di generare alcun introito dall’iniziativa, in quanto la sezione Showcase non prevede alcuna inserzione pubblicitaria.

Da qui la domanda che ha fatto lambiccare le meningi di molti esperti: ma perché Google agisce in maniera apparentemente contraria ai suoi interessi?

Un primo tentativo di risposta al rompicapo ci arriva dagli editorialisti di Domani, secondo i quali l’operazione di Google non sarebbe altro che una raffinata strategia diplomatica, volta ad appianare un annoso contenzioso sorto fra il gigante californiano e gli editori europei in merito all’interpretazione della Direttiva UE 2019/790 sul diritto d’autore. L’art. 15 della suddetta stabilisce infatti, ambiguamente, che i diritti commerciali per l’utilizzo delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di prestatori di servizi esterni (come appunto i motori di ricerca) non dovrebbero essere corrisposti agli editori nei casi in cui vengano mostrate esclusivamente “singole parole o estratti molto brevi”. E dunque: quanto brevi?

Da parte sua, Google, che genera la gran parte del suo fatturato annuo tramite inserzioni pubblicitarie basate sugli estratti dei contenuti giornalistici, si è sempre rifiutato di corrispondere agli editori una parte degli utili; mentre com’è ovvio le testate giornalistiche, le quali godono del solito “appoggio” più o meno simulato del Commissario Europeo per la Concorrenza, hanno sempre reclamato una fetta della torta.

Insomma, com’è come non è, sta di fatto che per togliersi il sassolino dalla scarpa, Google avrebbe direttamente deciso di…mangiarselo, pagando – cito sempre l’editoriale di Domani – “un po’ i giornali, per evitare di pagarli molto di più”.

I soldi non sono tutto

Zio Paperone  
Questa spiegazione non funziona per due motivi. Anzitutto perché inverte i rapporti di forza in gioco: con un comparto editoriale in crisi nera, minacciato da un calo costante del fatturato pubblicitario e dal crollo delle vendite delle copie cartacee, è Google a tenere i giornalisti per…le penne, e non viceversa.

I gruppi editoriali italiani infatti, che pure in concomitanza della crisi pandemica 23 avevano visto raddoppiare le erogazioni governative dirette, indirette e straordinarie a sostegno dei giornali sotto l’ambigua causale “Covid”, piangono adesso per bocca del Presidente della Fieg i recenti tagli apportati dalla nuova legge di Bilancio, dalla quale saranno decurtati i circa 140 milioni di euro dei Fondi Straordinari per gli interventi di sostegno all’editoria: Andrea Riffeser Monti deplora – trattenete le risate – lo scarso supporto del Governo per un “presidio strategico per la democrazia” come il comparto editoriale.

Il secondo motivo per cui la spiegazione sopra riportata è inconsistente è che, semplicemente, il dilemma che ci si prefigge di risolvere non sussiste. Come recita un noto adagio: “se non paghi per un prodotto 24 significa che quel prodotto sei tu.”

Il prodotto che Google si sta assicurando a suon di bonifici è il dominio della verità. Accettando gli oboli di Google, infatti, i giornalisti e gli editori si sono consegnati mani e piedi alle grandi corporazioni private, ponendo così una pietra tombale sulla libertà di pensiero.

E qui ci sarebbe da fare una digressione importante, che esonera per un attimo dal lavoro di inchiesta: smettiamola di pensare che i soldi siano l’unico obiettivo del capitalismo 2.0. Di immaginarci che il padronato sia composto da dei Paperon de’ Paperoni con ghette e tuba, intenti a impilare luccicanti monetine dalla sera alla mattina. Chi pensa ancora le cose in questi termini, forse farebbe bene a rileggersi qualcosa di Foucault o di Agamben. Le recenti mire egemoniche di Google e compari sulla stampa non contraddicono in nulla il vecchio principio dell’homo oeconomicus, secondo il quale ogni investimento si inscrive nella logica della massimizzazione degli interessi individuali. Quel che cambia oggi 25 è la natura di questo profitto, che non consiste più in quel semplice accumulo di mezzi di produzione, merci e capitale denunciato da Marx26 oltre un secolo e mezzo fa.

D’altra parte, per questi soggetti, il valore dei soldi è oramai ampiamente relativo: come nelle fasi terminali di una partita di Monopoli, l’enorme sperequazione nella distribuzione delle ricchezze fa sì che i quattrini costituiscano per i vincitori un bene largamente sacrificabile. Come si trattasse di colombi, essi possono permettersi di gettare banconote e assegni fuori dalla finestra, per poi vederli rincasare - presto o tardi - ancor più pasciuti di prima. Quel che si cerca di comprare oggi a costo di ingenti investimenti è dunque il dominio definitivo e assoluto del discorso e dei suoi luoghi di riproduzione. Una volta ottenuto il controllo della verità, queste concentrazioni finanziarie disporranno di un potere politico inedito nella storia dell’umanità, con conseguenze imprevedibili. In queste fasi finali della lotta per l’egemonia, è allora la tutela dell’ordine pubblico a destare serie preoccupazioni e ad esigere colossali investimenti. Il fine ultimo è quello di mettere le élites al riparo da qualsiasi possibilità di sovvertimento dell’ordine costituito – la sicurezza dalle masse, e non quella millantata delle masse – impedendo in modo duraturo una qualsiasi presa di coscienza collettiva dei meccanismi effettivi di dominio.

Conclusioni: il pozzo nero

Pozzo

Cos’altro aggiungere, Signori? Nel mondo della lotta contro la disinformazione c’è più lordura che nella latrina in cui cadde il povero Andreuccio da Perugia. Si potrebbe continuare a scavare e scavare e scavare…e continuerebbero a venire fuori esalazioni tossiche, flatulenze e coproliti. Come si è visto, in questa sovrapposizione continua fra poteri privati e organismi “pubblici”, fra soggetti “locali” e soggetti esterni, si finisce invariabilmente con il risalire agli stessi nuclei effettivi di potere politico-finanziario, cristallizzati al centro di varie spirali concentriche. Se questo è quanto è possibile scoprire con una breve indagine online, è poi ovvio che i reali equilibri in ballo fra le varie parti non potranno mai neanche lontanamente essere ricostruiti a mezzo di una semplice ricerca su…Google. Eppure, tirando le somme, anche il mettere in ordine gerarchico questa matrioska di pescecani sarebbe un esercizio dai risultati alquanto scontati. Per avere un’idea di chi tenga davvero le redini del discorso, concludo citando un ultimo dato: la capitalizzazione azionaria di ciascuna delle Big Five (Google, Amazon, Apple, Meta, and Microsoft), ha ormai stabilmente raggiunto se non addirittura superato il prodotto interno lordo delle più grandi potenze economiche mondiali.

Ma questi brutti pensieri, si sa, le si chiama oggi teorie della cospirazione.

Viva la lotta contro la disinformazione! Viva il nuovo mondo libero!

 
 
 
 

NOTE


  1. Cioè, purtroppo, per un’esigua minoranza della popolazione mondiale. 

  2. Oltre alle emittenti radiofoniche Radio Deejay, Radio Capital e Radio m2o

  3. GEDI è stata fra le prime realtà editoriali italiane a beneficiare delle paghette di Google, per l’avvio della piattaforma editoriale”Thriving News”, unitamente al Corriere della Sera, al Gruppo Mondadori, al Gruppo Caltagirone, a Radio Radicale e a onData

  4. L’elenco di questi finanziatori è riportato in questa inchiesta condotta dall’Ufficio Studi di FdI: partito che quando è punto sul vivo fa finta di essere meno servo degli altri, gridando al complotto ordito dalla sinistra internazionale contro la cd “opposizione”. La pagina del Poynter Institute in cui erano dettagliati i nomi dei mecenati, cui rimandava l’articolo di FdI, non è più disponibile online. 

  5. L’OMS vive grazie alle cd “Donazioni volontarie specifiche”, che rappresentano più del 65 % del suo budget. In cima alla lista di questi finanziatori esterni, che comprendono numerose associazioni private, ritroviamo proprio la Bill & Melinda Gates Foundation, “che ogni biennio dona all’Organizzazione Mondiale della Sanità 551 milioni di dollari”

  6. Si deve dar atto alla TFCF che nel dettagliare nomi e cognomi di finanziatori e mecenati, essa è più spudoratamente trasparente di tante altre simili realtà

  7. I conflitti di interesse della redazione di Pagella Politica sono stati denunciati in questo articolo de Il Giornale. Inoltre, qualsiasi informazione di seguito riportata (in mancanza di link diretti) è facilmente verificabile sui profili LinkedIn dei soggetti interessati. 

  8. Per capire quanto queste organizzazioni intergovernative siano realmente “indipendenti”, basti pensare che il direttore esecutivo dell’IEA Fatih Birol, è altresì Presidente dell’Energy Advisory Board dell’immancabile World Economic Forum di Davos. Starace, con tutta l’esperienza maturata sbufalando negazionisti di vario genere, si starà adesso occupando di raggiungere l’obiettivo Global net zero emissions entro il 2050 con Schwab e compari. 

  9. Una fondazione che, per monitorare tramite il progetto TICI (Tracking Italian Conflict of Interest) le concentrazioni di potere (lol) in Italia, “riunendo in un unico posto dati su figure politiche e istituzioni, società ed entità economiche”, ha anch’essa ricevuto nel 2018 sovvenzioni da parte di Google

  10. Ruolo per il quale ha rassegnato “immediate dimissioni”, come successivamente dichiarato

  11. Attualmente Lombardi è Senior Associate per PlusValue, una “independent agency that promotes the green transition by creating new markets and business models for public and private investors”. 

  12. La frittata stavolta fu così eclatante che Mantzarlis – che è un bravo ragazzo – si è premurato di dichiarare il conflitto di interessi, dapprima precisando che avrebbe da quel momento unicamente svolto compiti di “consulenza informale” per Pagella Politica (chissà: forse il correttore di bozze o l’addetto alle fotocopie?), per poi abbandonare del tutto la TFCF, passando in successione alla News and Information Credibility Lead, alla Policy Advisor e alla Principal, Trust & Safety Intelligence di Google. Tutt’altra storia, dato che come abbiamo visto Google è fra i finanziatori del…come si chiama? Ah sì: The Poynter Institute. 

  13. Per chi volesse approfondire, l’elenco dei soci attualmente attivi può essere reperito tramite una semplice visura camerale…personalmente io 5 euro preferisco spenderli per un buon gelato

  14. Siamo sicuri però che le nuove leve non sfigureranno, dato che vi ritroviamo personaggi come Sarah Boschetti, con un trascorso nel mondo delle multinazionali del settore farmaceutico Sanacorp e Sandoz (divisione operativa di Novartis). Oppure Antonio Scalari, fondatore del Climate Media Center Italia, ente che sin dal nome promana l’usato tanfo di succursale locale (del quale sembra però impossibile ricostruire eventuali legami internazionali o finanziamenti) e che già da due anni a questa parte inonda l’opinione pubblica con lettere aperte di esperti sui pericoli del cambiamento climatico, prontamente sottoscritte dai soliti premi Nobel 

  15. Entrambi sono membri del comitato di consulenza dell’agenzia di rating. 

  16. Estratto citato da questo articolo di Wired 

  17. Gli altri 2 milioni della torta andranno al Politecnico di Milano e all’Università Campus Bio-Medico di Roma, per un progetto mirato a “democratizzare l’accesso alle misure di intelligence sulla cybersicurezza” e alle Biblioteche Senza Frontiere Italia APS, una campagna che si adopererà per includere anche le fasce più anziane della popolazione, attraverso l’uso della l’IA generativa, nella lotta ai “rischi informatici”. 

  18. I legami fra Google, Riotta e la Luiss Data Lab sono finemente ricostruiti in quest’articolo di Claudio Trezzano: un’inchiesta davvero eccellente, se non fosse per il fatto che in più di qualche passaggio mi ha dato l’impressione che l’autore, più che denunciare il sistema di controllo dell’informazione, semplicemente invidi la posizione di potere detenuta da Riotta. 

  19. Per la sua Catchy Srl, un’innovativa impresa con sede a Milano e succursali a Roma e Cagliari, che si occupa di “Data Driven Journalism and countering fake news, reputation studies, and new media through AI”

  20. Qui la lista di tutti i partner della DNI di Google: spoiler, ci troverete praticamente qualsiasi cosa venga stampata in Italia, pure il giornaletto della scuola di vostro figlio. 

  21. Il fatto che nessuno si allarmi vedendo campagne contro la disinformazione apertamente sponsorizzate da Google la dice lunga sul sonno profondo della società civile. 

  22. Compagnia nominalmente esterna al gigante di Mountain View, la quale però oltre a vantare una partnership con Meta, puntualmente riceve champagne e tartine al caviale da Google 

  23. Le erogazioni sono continuate a ritmi elevati anche nel biennio 2022-24

  24. O addirittura come in questo caso se ti stanno pagando per accedervi. 

  25. Sempre ammesso che non sia sempre stato così: quel che si ricerca a mezzo dell’accumulo di denaro è il consolidamento di posizioni di potere. 

  26. Accumulo di cui peraltro il marxismo non contesta l’intrinseca assurdità, ma unicamente l’ineguale distribuzione fra la popolazione, riproducendo così tacitamente l’ideologia accumulatrice della classe dominante (come spesso accade: chi critica, assimila). O, per riformulare da una prospettiva leggermente diversa: sia il liberalismo che il marxismo sono manifestazioni particolari e parallele di una mitologia ancora più generale: quella della civiltà tecnica, della crescita e del progresso. 

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